Questo articolo è adattato dall’originale: The need for critical dialogue is becoming more urgent than ever
Recentemente ho fatto diverse chiacchierate con i miei colleghi praticanti il coaching, ma anche con amici e con il mio capo. E queste avevano tutte un’idea in comune: in che modo migliorare il nostro modo di comunicare, con lo scopo di raggiungere i nostri obiettivi. Questo, nel senso che bisogna essere il più naturale possibile quando parliamo con gli altri, al contempo tenendo a mente che la scelta delle nostre parole andrà ad influire sul risultato della conversazione.
In questi giorni ho sentito fare un’interessante osservazione. Questa viene dalla comunicazione internazionale, dove l’inglese è la lingua franca: ma in realtà, vale pressappoco per tutte le lingue e tutte le nazioni. Quando ci rivolgiamo ad un madrelingua utilizzando un idioma straniero, bisogna considerare se i nostri riferimenti culturali inquinino troppo la conversazione. Ancora peggio è se anche il nostro interlocutore sia nativo di una lingua diversa e dovessimo utilizzare, per l’appunto, una lingua franca.
Da italiano espatriato in un altro paese dove la lingua inglese non è esattamente la prima lingua parlata, rientro proprio nella seconda categoria. Questo mi porta a rischiare malintesi spesso e volentieri.
Inoltre, potremmo aver bisogno di aggiustare il registro ed il tono del nostro comunicare a favore di un altro; ma questo non significa necessariamente migliorare la propria comunicazione. Ecco un esempio dal mio lavoro. Un mio collega la mette così: “un Data Scientist sorriderebbe di gioia al sentire la parola problema, mentre un direttore esecutivo sarebbe prono a impallidire e mettersi sulla difensiva.” Il che spiega perché’ la parola sfida (challenge in gergo) è preferita in un tale contesto.
Naturalmente, questo esempio è proprio delle culture aziendali. Ma se ci fermiamo un momento a pensare, questo è un “problema” applicato a qualsiasi conversazione.
Le nostre competenze emotive ci aiutano a modulare la conversazione con l’altro senza diventare visibilmente nervosi o arrabbiati, riducendo ai minimi termini problemi che realmente non esistono – se non a causa di dirottamenti emotivi. Questi ultimi possono seguire a una frase, un’espressione o un gergo che per ciascuna delle due persone ha un significato completamente diverso.
Il malinteso, in questo caso, nasce dalla comprensione impropria e innesca una reazione emotiva non necessaria al contesto. Non necessaria, ma alquanto probabile.
E infatti, è difficile discutere argomenti spiacevoli senza ferire qualcuno. In un modo o nell’altro, siamo tutti opinionati: e a causa di ciò che abbiamo questa smania di essere nel giusto e di dimostrarlo. E questo, il più delle volte, diventa infine più importante dei sentimenti altrui.
Di conseguenza, è importante saper stabilire un dialogo critico che faccia leva sui fatti e tenga a freno le opinioni. Ecco come.
Un dialogo critico sfrutta domande di un certo tipo
Sono quelle domande che in inglese sono note come powerful questions. Domande generalmente aperte, né retoriche né tendenziose. Traduciamole pure letteralmente, come domande potenti, per via dell’effetto impressionante che possono avere sulla discussione.
Capire il punto di vista dell’altro è spesso più importante che convincerlo del nostro. Partendo da tale obiettivo, assumiamo che l’altra persona sia in errore. Ebbene, tale sentimento è reciproco.
Domande potenti come quelle utilizzate nel coaching sono grandiose per fare chiarezza. Con esse, vuoi vedere perché esiste una certa idea e da dove essa origini.
- Perché assumi che questa cosa sia in questo modo?
- Cosa ti ha convinto di ciò?
- Altrimenti, come starebbero le cose?
Un’osservazione è dovuta sul chiedere direttamente il perché. Questa domanda è davvero delicata, in quanto potrebbe mettere il nostro interlocutore sulla difensiva, in particolare se già accaldato dal dibattito. Il gioco vale la candela se dovesse servire ad andare al nocciolo di un problema dopo un certo tergiversare.
Le parole speculari sono un modo di empatizzare
Questo ha a che fare con l’idea che ha originato questa intera riflessione. Il contesto è più importante del contenuto: ciò che suona bene per noi potrebbe suonare l’opposto per la persona con cui stiamo parlando.
Esiste un fenomeno non-verbale chiamato “mirroring”: esso consiste nell’adattare il proprio linguaggio del corpo a quello della persona davanti a noi. Come vuole il nome del fenomeno: muoversi in maniera speculare.
Questo è un comportamento che accade anche inconsciamente, specie se vi è un certo livello di intesa tra i due interlocutori. Tuttavia, è possibile per noi modularlo con consapevolezza e pratica. Lo stesso vale per la scelta delle parole, e qui andiamo ancor di più sul subdolo. In effetti, se ci soffermiamo all’uso delle parole utilizzate dal nostro partner di conversazione, dovrebbe venirci più semplice comprenderlo. E qualora ciò non avvenga, possiamo sempre domandare cosa egli intenda con l’espressione utilizzata. Una volta compreso, possiamo utilizzarla per il resto della conversazione.
Se da un lato esagerare con il mirroring non verbale possa essere percepito come uno sbeffeggiamento, dall’altro il saper entrare nei suoi termini dopo aver chiesto chiarimenti mi ha sempre portato benefici, minimizzando il rischio di interrompere il flusso della conversazione a causa di una misinterpretazione qualunque.
In qualsiasi momento, accetta le confutazioni
Solo perché crediamo di avere ragione, non significa che l’abbiamo. Quelle che consideriamo verità sono solitamente le nostre opinioni. E tali credenze sono ciò che ci rende diversi dagli altri, modellando il nostro modo di pensare e agire.
Dovremmo trasformare le nostre argomentazioni in delle conversazioni critiche perché il più delle volte non ha senso provare chi ha davvero ragione. È più utile, invece, ottenere nuove prospettive sui fatti che costituiscono l’argomento discusso, al fine di trovare una comprensione comune.
Questo è particolarmente esatto nel caso tu avessi la tendenza a scaldarti troppo quando gli altri sembrano non capirti, un po’ come me. Sfortunatamente, non sempre questo principio è applicabile e a volte bisogna semplicemente allontanarsi dalla discussione. In ogni caso, possiamo sempre riflettere su quanto accaduto e forse trarne qualcosa.
In conclusione, a che cosa ci serve?
Utilizziamo la retorica per convincere gli altri di qualcosa. Essa è largamente usata da venditori, avvocati e persino visionari. Tra queste persone ci sono anche i nostri miti e modelli, che ci piaccia o meno. Ma sono davvero autentiche le loro parole?
Il bisogno di ragionamento critico sta diventando sempre più urgente. A parte quel dispositivo sociale umano che è il gossip, ci troviamo davanti a cospirazionisti, politici, magnati, tutti in corsa per convincerci delle loro verità assolute. Ahinoi, le loro idee diventano materia di conversazione, e talvolta esse si infiltrano tra le nostre opinioni. Dovremmo sforzarci di più a lasciar perdere gli espedienti retorici, imbracciando invece un sano criticismo, per il bene del mondo in cui viviamo.
Mentre saper pensare in maniera critica è di per sé benefico, teniamo anche a mente il fatto di essere parte di una specie sociale; e quindi, possiamo promuovere il ragionamento critico comunicando con gli altri.