Questo articolo e’ adattato dall’originale: Learn and forget!
L’atto del dimenticare è un fattore indesiderato in qualsiasi processo di apprendimento. Ci piacerebbe imprimere permanentemente il sapere nelle nostre menti per poi tirarlo fuori a convenienza. Ahimè, il cervello umano lavora diversamente.
Gli ippocampi sono strutture neurali nel nostro sistema nervoso centrale che, per farla semplice, selezionano cosa ricordare e cosa no. L’ippocampo è responsabile per la memoria a breve termine. Le informazioni non devono tanto passare il test del tempo per diventare indelebili, quanto uno cerebrale. E poiché non possiamo impiegare la stessa intensità di concentrazione ed energia in tutto ciò che impariamo, dimenticare diventa una parte naturale dell’apprendimento.
O per meglio dire: non lo diventa, ma è sempre stato così. Non solo dimentichiamo cose, talvolta vogliamo dimenticarle volontariamente. Questo è uno dei modi per gestire i propri traumi, eventi spiacevoli e anche argomenti per noi noiosi.
Sorprendentemente, dimenticare può essere utile per lo scopo dell’apprendimento. È qualcosa che ho imparato io stesso, per via della mia passione per le arti marziali. Le filosofie orientali sembrano apprezzare il potere che si può trarre dalla dimenticanza, qualora applicata nel contesto giusto.
In questo articolo voglio condividere un po’ della saggezza offerta dalle arti marziali che ho applicato in ogni forma di apprendimento per molti anni. Seguono quelli che possono essere considerati quasi principi universali, ma attenzione: discuteremo una forma di “dimenticanza” non convenzionale. Piuttosto, si tratta di una sua forma più subdola, indotta.
Impara e dimentica! Impara e dimentica!

Morihei Ueshiba (1883-1969) fu il fondatore dell’aikido. La sua filosofia, che si riflette nella disciplina a cui dedicò la propria vita, sembra essere stata concepita a seguito di tre epifanie. Insieme alla pratica delle arti marziali, Ueshiba era solito scrivere poesie e aforismi, oggi collezionate e riedite. Ho imparato molto sulla filosofia di Ueshiba attraverso i suoi scritti.
Sebbene molti dei suoi versi siano orientati alla ricerca spirituale, ho finito per apprezzare la loro utilità in materia dell’atto di imparare. Ce n’è uno in particolare che non dimenticherò facilmente, e recita precisamente: “impara e dimentica”. La mia interpretazione di tali parole è influenzata dal fatto che io stesso sono un’artista marziale, seppur amatoriale.
Ho praticato Karate e Tae Kwon Do, per poi studiare Wing Chun Gong Fu. Incorporo quest’ultimo regolarmente nella mia routine di allenamento. L’esercizio delle arti marziali (specie, nel senso più tradizionale) richiede lo studio di tecniche e forme; esse però sono solo una rappresentazione ideale e, come il loro nome suggerisce, tecnica. La loro applicazione in situazioni reali è oltremodo differente. Possiamo dire che le forme altro non sono se non la codifica di uno stile: un sistema di insegnamento e apprendimento.
Sperimentiamo la stessa cosa nella vita reale. Studiamo per anni, per diventare esperti in un settore, ma quando arriva il fatidico giorno in cui iniziamo il lavoro vero scopriamo quanto non sappiamo (ancora). Nelle nostre teste abbiamo un’immagine che non rappresenta la realtà. Quindi dobbiamo imparare come utilizzare ciò che abbiamo acquisito per lo scopo del nostro lavoro, e dimostrare a noi stessi di essere competenti.
Questa forma di “dimenticanza” è in realtà l’atto di “reimparare”: portando concetti ideali e teorie nel contesto reali. Il primo passo verso la maestria.
Sii come l’acqua, amico mio
Queste sono le parole con cui più regolarmente citiamo Bruce Lee. Poco si potrebbe pensare che non si riferiscano soltanto all’allenamento. Sono parole che descrivono alla perfezione il processo di adattamento.
Prendiamo tali parole in contesto. Nel 1959 Lee, al tempo 19 anni, lasciò Hong Kong per trasferirsi a San Francisco (USA). A 24 anni stava già sviluppando il Jun Fan Gong Fu, successivamente noto come Jeet Kune Do. La popolarità del suo stile deriva dal distaccamento dalle forme tradizionali, un approccio divergente dalle arti marziali tradizionali cinesi. (A tal proposito, per saperne di più dovresti leggere questo libro o quest’altro).
Cosa ci dice questo? Primo, Lee andò a vivere in un paese allora coinvolto nel conflitto con il Vietnam (1955-1975), il quale contribuiva ad alimentare i pregiudizi già esistenti nei confronti degli immigrati asiatici, quale parte della popolazione non bianca. In secondo luogo, Lee ebbe anche problemi con gli altri maestri di Gong Fu residenti in America. Essi rifiutavano l’idea di trasmettere la loro disciplina a chiunque non fosse di origine cinese; inoltre, veneravano la tradizione al punto da sacrificare l’innovazione. Possiamo dedurre che, prima di diventare una star del cinema ed un artista marziale globalmente riconosciuto, la vita di Lee non fu per niente semplice; ciononostante, egli resistette, per diventare il migliore nel suo campo, contro ogni previsione.
Si tratta di un’impressionante lezione di vita. Lee cominciò la sua carriera come discepolo nel Gong Fu tradizionale, ma giunse al consolidamento di molteplici discipline in un metodo ed una filosofia unica. Ciò fu possibile perché’ gli sviscerò l’essenza delle competenze dai loro paradigmi, e combattendo il pregiudizio con meticoloso esercizio, studio ed un approccio multidisciplinare. Chiamala mentalità aperta se vuoi: “dimenticare” radici non necessarie per scoprirne di nuove e risolute, e dando un valore nuovo a ciò che si è imparato. Nessun insegnamento è sprecato.
Shuhari (守破離)
Shuhari si traduce grossolanamente come “obbedire, distaccarsi, lasciare” (da Wikipedia). Si tratta di un concetto che ho realmente imparato a lavoro. Ha a che fare più che altro con la cultura giapponese che con le arti marziali, ma in ogni caso quest’ultime sono state influenzate dalle prime.
Desidero descrivere il concetto di Shuhari come una pratica ottimale per l’apprendimento, spezzandola nelle sue tre fasi.
SHU: è la parte in cui attingiamo il sapere da un’altra fonte. Dobbiamo seguire un paradigma allo scopo di comprendere le fondamenta. Nelle arti marziali, è il momento in cui veniamo corretti dal maestro in ogni movimento e posizione. Nella vita, è la fase in cui stiamo imparando qualcosa di cui non sappiamo assolutamente nulla. È anche quel periodo in cui siamo inconsciamente incompetenti: non sappiamo di non sapere. Presto realizziamo la nostra ignoranza, divenendo consciamente incompetenti. È una situazione difficile, che però ci mette sulla strada giusta.
HA: è la parte in cui acquisiamo un certo livello di conoscenza o abilità. Usando il Karate o il Tae Kwon Do come analogia, questo è il momento in cui il praticante riceve la cintura nera. Ma non si tratta dell’obiettivo finale, quanto del vero inizio. Adesso sappiamo qualcosa, ed eventualmente siamo in grado di trasmettere ciò che abbiamo imparato. Cominciamo a sviluppare sicurezza. Come quando cuciniamo qualcosa seguendo una predeterminata ricetta così tante volte da non aver più bisogno di leggerla.
RI: quando abbiamo internalizzato il sapere al punto da non aver più bisogno di uno schema: sono l’esperienza e l’intuizione, non le regole da manuale, a guidarci; e la tecnica diventa una seconda natura. Ci avviciniamo all’idea di maestria, e traiamo un valore aggiunto dall’adattare ciò che abbiamo imparato ad ogni situazione, inconsciamente.
Esattamente: “dimentichiamo” le linee guida, perché’ siamo diventati noi stessi la linea guida.
Conclusione
C’è tanto altro di cui mi piacerebbe scrivere a riguardo, e allora servirebbe un’ora per leggere questo articolo. Il messaggio che voglio condividere è quello di comprendere il significato di “dimenticanza” quale veicolo per allentare i nostri vincoli mentali, i pregiudizi e quando necessario gli schemi. Che sia per passione o per necessità, possiamo trovare un valore aggiunto nell’apprendimento di qualcosa che la sola competenza.
Ciò che serve è il giusto approccio mentale. E apparentemente, la psicologia moderna supporta ciò che un approccio olistico, come quello offerto dalle arti marziali, ha da offrire ai nostri compiti giornalieri.
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